L'inflazione imperversa. I tassi di interesse aumentano. L’Europa è afflitta dalla guerra. Shanghai è chiusa per Covid. Eppure, il mercato azionario regge: "Mi piego ma non mi spezzo".
La maggior parte dei principali mercati azionari - ad eccezione del Nasdaq - segna un ribasso dall’inizio dell’anno, ancorché moderato: tra il 5 e il 10%[1]. Va anche riconosciuto che alcuni di loro hanno perso di più, come la Cina (oltre -20%), che rappresenta un caso particolare attribuibile alla sua politica interna. In linea generale, vista la durezza delle condizioni cui fare fronte, si può affermare che i mercati si dimostrano flessibili.
Non nel caso del mercato obbligazionario, spazzato via dalla tempesta inflazionistica. Non solo si è piegato come una canna ma si è addirittura spezzato come una quercia: le sue performance, quest’anno, sono spesso più negative di quelle delle azioni benché lo si consideri meno rischioso! Un investitore in obbligazioni tedesche o americane a lungo termine, note - di default - come “risk free”, sta quindi subendo delle perdite che sfiorano il 10% dall'inizio dell'anno.
Tale configurazione è davvero molto rara. Da oltre trent'anni, mai un anno intero ha registrato una flessione così forte al contempo delle azioni e delle obbligazioni a livello globale[2]. Spesso, infatti, un’asset class compensa le perdite dell'altra. Quest'anno, invece, il dispiacere è doppio, soprattutto per le obbligazioni visto il loro profilo di rischio abituale.
Questa resilienza relativa del mercato azionario può essere letta come una nuova manifestazione di "esuberanza irrazionale"?
Alcuni dei segmenti piùultra-growth, hanno effettivamente accusato questo sintomo durante il picco della crisi legata al Covid, nel frattempo in buona parte riassorbito. Ark Innovation ETF, ad esempio, il fondo per antonomasia per questo tipo di azioni, ha perso più del 40% nel corso dell'anno ma, per il resto, non c'è bisogno di ricorrere ad alcuna grande aberrazione per spiegare la resilienza relativa del mercato perché, nonostante i venti contrari, i fondamentali delle azioni rimangono solidi. Lo confermano le recenti pubblicazioni in piena effervescenza. Con le debite eccezioni eclatanti, quali NETFLIX che ha perso più del 60% quest'anno, la stragrande maggioranza delle aziende ha finora pubblicato dei risultati in linea o superiori alle aspettative, così che il mercato sta rivedendo marginalmente soltanto le sue previsioni di utili per il 2022. Negli Stati Uniti, dove l'impatto della guerra in Ucraina è molto limitato, se non indirettamente sul prezzo di alcune materie prime, gli utili per l'anno sono rivisti leggermente al ribasso anche se previsti in aumento del 10% circa. In Europa, è ancora più lampante: le revisioni degli utili sono positive[3]. È pur vero che lo si deve soprattutto al settore delle materie prime, che sta beneficiando dell'inflazione delle stesse. Al netto di questo settore, le recenti revisioni sono leggermente ribassiste benché non vi siano, in ogni caso, prospettive drasticamente negative anche dopo due mesi di guerra in Ucraina e più di un anno di inflazione alta.
Gli utili attesi reggono, in parte, grazie ad aspettative economiche molto meno cupe di quanto si possa temere facendo affidamento sul solo morale dei consumatori, che risente pienamente dell’inflazione, mentre alcune aziende possono trasferire l'inflazione sui prezzi di vendita. Dagli ultimissimi sondaggi sull'Eurozona, pubblicati il 22 aprile, emerge un chiaro ottimismo: l'indice PMI composito rimane alto e sale a 55,8 rispetto a 54,9 il mese precedente. Negli Stati Uniti, la stessa indagine rileva un altrettanto buon livello di ottimismo ancorché in calo nei servizi a causa dei ritardi e dell’inflazione.
Mentre la recessione economica non costituisce attualmente un importante rischio a livello globale, altre due sfide si presentano alle aziende: i margini e i costi di finanziamento. Di fronte al rincaro delle materie prime e alle pressioni sui salari - negli Stati Uniti soprattutto - le aziende assisteranno complessivamente a una riduzione dei loro margini. Ma anche in questo caso, i timori vanno attenuati poiché i margini netti erano storicamente alti, attesi intorno al 13% negli Stati Uniti[4]. Se controllata e anticipata, una flessione potrebbe non causare grosse turbolenze. La seconda sfida consiste naturalmente nel rialzo dei tassi d'interesse, e quindi dei costi di finanziamento, unito alla stretta monetaria. Ma, per il momento, i tassi reali “costatati” – e cioè corretti per l'inflazione - rimangono per lo più negativi. L'aumento dei tassi diventerebbe un problema serio solo se questi rimanessero alti e l’inflazione subisse un calo repentino. È un rischio, anche se non siamo ancora giunti a questo punto. E se questo dovesse accadere, le banche centrali interverrebbero certamente sulle loro politiche e allenterebbero di nuovo le briglie.
Non mancano gli ostacoli che il mercato azionario dovrà superare anche se, nel complesso, gode di uno stato di salute sufficientemente buono per farvi fronte. Altrettanta fortuna non vanta il mercato obbligazionario: se prima non aveva nessun appeal e si reggeva solo grazie alle banche centrali, ora è abbandonato a sé stesso e gli toccherà far fronte ad altre disavventure. Ma al termine del processo di normalizzazione, riallaccerà con il rendimento e tornerà a essere accattivante. Col tempo, la quercia uscirà dall’ombra delle canne e darà nuova vita a una foresta.
Redatto il 22 aprile 22 da Olivier de Berranger, CIO, LFDE