Come dimostrano - ad esempio - i trend sul motore di ricerca Google, gli interrogativi degli investitori riferiti a una prossima recessione crescono sotto traccia, certamente, ma in maniera inequivocabile. Dovremmo preoccuparcene seriamente anche se le proiezioni di crescita economica rimangono molto alte per il 2022 - più del 3% in Europa e negli Stati Uniti, secondo il consensus Bloomberg - e con dei buoni margini anche per il 2023?
Due ragioni, in parte collegate, potrebbero giustificarlo.
La prima è l'impennata dei prezzi delle materie prime, in particolare dell'energia. Serbiamo ancora l’amaro ricordo dell'impatto recessivo di un violento aumento del prezzo del greggio negli anni '70 o anche nel 2008. È un punto essenziale, soprattutto perché il conflitto russo-ucraino non spiega, purtroppo, l’intera recente impennata. Se il conflitto ne fosse l'unica causa, l'attuale inflazione energetica potrebbe essere considerata di natura esogena e transitoria, e quindi relativamente superabile. Ma il greggio aveva già raggiunto dei livelli elevati all'inizio di quest'anno, prima ancora che iniziasse l'"operazione militare speciale". Il vigore della ripresa economica post-Covid, in particolare negli Stati Uniti, spiega buona parte del prezzo attuale e non lascia quindi sperare in una forte contrazione anche se si riducesse l’intensità del conflitto ucraino.
Se è però vero che il conflitto in Ucraina ha un impatto soltanto marginale sulla situazione già tesa del petrolio, modifica invece il quadro per altre materie prime, altrettanto vitali. Non solo provoca un’impennata del prezzo del gas naturale, ma anche di derrate agricole vitali come il grano o il mais per gli animali, e di molti metalli industriali, compresi quelli che si rivelano essenziali per uscire dalla dipendenza dal petrolio grazie alle energie rinnovabili, come il nichel e il rame. La crisi delle materie prime è quindi diffusa. È più difficile da superare di un semplice shock petrolifero, tanto più che il conflitto non sembra destinato a una rapida risoluzione così come, giocoforza, non sono destinate a rientrare le sanzioni contro la Russia.
La seconda ragione è legata ai tassi d'interesse. Si considera spesso che lo scostamento tra i tassi di interesse a 10 anni e a 2 anni possa annunciare una recessione. Questo scostamento è generalmente positivo: in assenza anche di rischio di default, come per il debito americano, i tassi sono mediamente superiori a lungo termine rispetto al breve termine, perché c'è sempre un rischio di inflazione a lungo termine. Poiché le banche centrali stanno inasprendo le condizioni monetarie, i tassi possono però essere più alti a breve che a lungo termine lasciando intendere quindi un rallentamento economico, che spesso sfocia in una recessione.
Questa inversione si è verificata la scorsa settimana nella curva dei rendimenti degli Stati Uniti, generando scompiglio tra gli investitori. Il mercato dei tassi sta forse anticipando una recessione a differenza dei mercati azionari e degli analisti?
Non necessariamente. La stessa Fed ha indicato in diverse occasioni, e anche di recente , che un altro indicatore basato sui tassi era più pertinente: la differenza tra le aspettative sui tassi a breve tra 18 mesi e i tassi a breve attuali. Quest'ultimo indicatore è piuttosto tranquillo al momento, così come una pletora di altre metodologie impiegate dalle banche centrali regionali negli Stati Uniti.
Potrebbe naturalmente accadere che tutti gli indicatori e gli analisti sbaglino. Le recessioni colgono spesso di sorpresa. Le tensioni legate alle materie prime, dopo tutto, sono reali, e dovrebbero durare. Inoltre, parte della risposta dipende dall'imprevedibile conflitto ucraino. Ma, per quanto riguarda il 2022, una vera e propria recessione sembra altamente improbabile se si considera la crescita attuale. Ci sono minori certezze per il 2023 una volta che le condizioni monetarie si saranno decisamente inasprite anche se, nel frattempo, saranno comparsi mille nuovi rischi e mille rischi saranno stati superati dal mercato.
Così, anche se può sembrare saggio cercare di anticipare le recessioni, il tentativo - in realtà - può nascondere un’ambizione folle. Al contrario, esiste una saggezza borsistica a portata di mano che assicura che, statisticamente parlando, ancorché costi essere investiti durante le recessioni, costa ancora di più non partecipare ai rimbalzi che prendono forma nel cuore delle crisi. C'è da scommettere che il mercato dia ragione, nei prossimi anni, agli investitori saggi che non lo saranno stati eccessivamente.
Redatto il 1 aprile 2022, da Olivier de Berranger, CIO, LFDE